Riscoprire i grandi classici: come rileggere “Piccole Donne”

Dal 1868, anno in cui venne pubblicato per la prima volta Piccole donne, scritto da Louisa May Alcott, molto è cambiato. Si sono succedute trasformazioni di enorme portata nel contesto storico ed economico, sono mutati e si sono ampliati gli approcci teorici ai testi e sono cambiate, anche se lentamente e non completamente, configurazioni politiche e sociali che limitavano fortemente la libertà femminile. Riscoprire i grandi classici diventa, a questo punto, essenziale non solo per approcciarci nuovamente alla specificità di un testo che ha fatto la storia, ma anche per comprendere il valore innovativo dell’opera e le trasformazioni consolidatesi dall’anno della sua pubblicazione fino a oggi.

Cosa può dirci ancora Piccole donne?

Innanzitutto bisogna considerare la componente di originalità del romanzo il cui centro è rappresentato dalla vita, le aspirazioni e i pensieri di personaggi femminili. Potrebbe, ad alcuni/e, sembrare un fattore secondario ma la prospettiva e lo sguardo femminili nella visione e costruzione della realtà non sono stati largamente considerati nel corso dei secoli nella realizzazione di pratiche culturali; dare quindi voce a donne che esplorano i loro sogni, i loro sentimenti e i loro desideri a partire da uno sguardo tutto al femminile (quello dell’autrice) ha in sé qualcosa di altamente scardinante e innovativo rispetto alla realtà del 1800 (e anche rispetto alla nostra). Ovviamente nel romanzo si ritrovano aspetti oggi fortunatamente superati rispetto ai ruoli femminili, ai mestieri assegnati alle ragazze e al ridimensionamento della passioni di una delle protagoniste all’interno di una dimensione fortemente patriarcale; ma proprio per questo motivo riscoprire il romanzo acquisisce un senso ulteriore.

Il personaggio di Jo

Analizzare in maniera approfondita il personaggio di Jo ci induce a fare delle considerazioni sulle aspirazioni deluse di una ragazza che non riuscirà infine a trasformare in realtà la passione per la scrittura; ma questa indagine ci consente di fare un passaggio ulteriore, ossia di ragionare sulle pesanti difficoltà che le donne nel corso dei secoli hanno dovuto subire per potersi affermare. Basti pensare alla necessità di utilizzare una pseudonimo maschile per far sì che i propri scritti venissero considerati, alla difficoltà di dover conciliare i propri studi e le proprie riflessioni con le incombenze della casa e della famiglia e al dolore di rinunciare a una passione che talvolta permette di riordinare il caos della propria esistenza. In questo senso le parole di Sylvia Plath citate e commentate da Sandra Petrignani in Lessico femminile possono mostrare efficacemente quella che deve essere la portata della rinuncia alla scrittura nel momento in cui questa si rivela come l’unico modo di esprimere la propria essenza:

«Se per la O’Connor essere scrittrice è un dono, per Sylvia Plath l’atto di scrivere si configura piuttosto come una rivendicazione. Almeno nei Diari:

“Sentivo che non avessi scritto nessuno mi avrebbe riconosciuto come essere umano. La scrittura, allora, era la mia sostituta se non ami me, ama quello che scrivo, amami per questo”.

Ancora una volta, la speranza di essere accettate per quel che si è veramente, fuori da maschere e programmi decisi da altri sul nostro destino. Ma anche la sua maniera per frenare il disordine della vita:

“È molto di più: un modo di ordinare e riordinare il caos dell’esperienza”».

Riscoprire i grandi classici,quindi, vuol dire anche fare un ragionamento sul concetto stesso di scrittura.

Riscoprire i grandi classici vuol dire anche recuperare il potere della scrittura

Riflettere sul fatto che Jo non possa diventare una scrittrice (come scopriremo in Piccole donne crescono) ci deve condurre a ragionare diversi aspetti: ad esempio su quanto il personaggio sia costretto a ridimensionarsi, su quanto fosse preponderante il ruolo maschile e su quanto gli uomini considerassero (e in molti considerino ancora) sovversivo il gesto artistico femminile. Riprendendo le parole di Fabrizia Ramondino in Passaggio a Trieste cogliamo il disorientamento dell’uomo di fronte alla potenza dell’esperienza artistica della donna:

«Non so cosa sarebbe successo accaduto a Frida Kahlo se non fosse diventata la moglie di Diego Rivera, mentre sappiamo ciò che è accaduto a Camille Claudel, allieva e amante di Rodin – della cui opera egli si è appropriato. Né sappiamo cosa sarebbe accaduto di Colette se non si fosse liberata del marito. So invece con certezza quanto sia stato e sia ancora difficile per le donne esprimersi – soprattutto nel campo intellettuale e artistico. Perché se l’irruzione delle donne nel dominio degli uomini (professioni, affari, persino guerre) è stata bene o male tollerata, la loro capacità di realizzare un’opera – un quadro, un libro, una sinfonia – li disorienta molto di più. Nell’esperienza artistica, infatti, il corpo si tramuta in stile e si sottrae perciò a ogni controllo. Ora, se l’uomo può contrapporsi a un corpo di donna, fino a violentarlo e ucciderlo, di fronte a un corpo trasformato in stile è impotente come dinanzi a un fantasma».

La forza dell’unione femminile in Piccole donne

Dunque abbiamo osservato come riscoprire un classico come Piccole donne possa condurci a riscoprire il potere intrinseco della scrittura. Ma rileggere questo testo ci porta anche a ulteriori considerazioni circa l’importanza dell’unione femminile. Pregiudizi e stereotipi triti e stantii non fanno altro che sottolineare l’invidia femminile, l’incapacità di creare tra donne un clima sano e collaborativo, la difficoltà nello svolgere alcuni compiti perché troppo emotive. Cosa ci insegna a questo proposito Piccole donne? Ci insegna che l’unione femminile è una virtù, che la collaborazione non solo è possibile ma profondamente efficace e in grado di creare nuove e vincenti dinamiche. E sull’emotività? Piccole donne non ci parla di ragazze emotive ma di ragazze di volontà. Questo concetto di emotività legato alla femminilità rimane tuttora un modo per bollare negativamente atteggiamenti di empatia e sensibilità che, lungi dal rappresentare dei difetti, dimostrano una grande carica umana che in aggiunta alla tenacia e alla volontà costituiscono caratteristiche imprescindibili di ciò che ci fa degli esseri umani degni.

Flavia Palieri