L’agguerrita

«Che vi sia ciascun lo dice; ove sia nessun lo sa». Così ironizza don Alfonso in Così fan tutte sulla chimera della fede coniugale, paragonata all’araba fenice. Altrettanto vaga è la figura del traduttore nella coscienza del lettore: c’è, per fortuna, ma il riserbo è principio deontologico della professione e il suo nome rimane tutt’al più pudicamente citato in colophon.

La vita di Karin Krieger

Karin Krieger, la silenziosa traduttrice dei più grandi successi editoriali italiani degli ultimi trent’anni in Germania, ha rotto con decisione agguerrita questo dogma ed è stata il fulcro di un’accesa discussione sui diritti d’autore del traduttore. Cresciuta nella Berlino-Est degli anni Settanta, appassionata per la letteratura anglosassone, ripiega sullo studio dell’italiano perché il regime ostacola l’anglofonia. La passione per la traduzione letteraria la porta a cimentarsi con i nomi più intimidenti del panorama letterario italiano contemporaneo: Alajmo, Baricco, Buzzi, Camilleri, Magris, Mazzantini, Riccarelli, Ferrante. Con meticolosa sistematicità si pone tra due mondi linguistici e letterari che negli anni del Dopoguerra si sono mantenuti a rispettosa e disinteressata distanza  e colleziona i più ambiti premi del suo settore.

Le ragioni del nome “agguerrita” e le battaglie di Karin Krieger

Fino al 2004 il nome di “agguerrita” (Krieger) le si addice solo nella ricerca di scelte lessicali che riproducano in tedesco, lingua consonantica e segmentata,  il melodico fraseggio dell’italiano. Un’acribia che dà i suoi frutti. Karin Krieger traduce best sellers a ritmo serrato. Fa solo quello, non ha tempo per altre storie, finché la casa editrice Piper toglie dal mercato le sue traduzioni di Baricco e le sostituisce con quelle di una collega per evitare di ottemperare a impegni di contratto. Per se stessa, per il lettore e per la categoria del traduttore, querela il gigante editoriale, combatte sino all’ultima istanza, diventa protagonista di feuilleton e dibattiti letterari per alcuni mesi. Davide e Golia. Lo scontro che ne segue scartavetra la patina da decenni di consuetudini contrattuali, è quasi volgare ma necessario. I fronti si irrigidiscono e nemmeno Baricco scende in campo per la sua mediatrice: «Mi dispiace per Karin che è una buona traduttrice ma, per me, se il testo è buono la traduzione non conta». (Borgese 1999).

La traduzione non conta: una frase che rivela una paradossale cecità. La Corte di Cassazione dà ragione alla traduttrice ma la popolarità è avida di tempo prezioso per altre sfide: Karin Krieger si ritira dal proscenio mediatico per tornare a combattere sul campo della sua scrivania a Berlino. I suoi alleati sono fedeli: il Devoto-Oli, il Sansoni Tedesco-Italiano e un quaderno dove raccoglie capolavori lessicali come “Graubürzewasserläufer – il piro piro asiatico”, per riderci sopra, e magari per il prossimo best seller.

Anna Bergamo